E così comincia la sfilata: lo l’ho incontrata a Napoli, canta il nobile accattone al suon della chitarra per allietare i viaggiatori sul treno o sui pullman di linea. Poi passa col piattello a sollecitare il buon gesto di coloro che volenti o nolenti si sono gustata la canzone. Signori, una carità per i miei figli affamati………………… E i signori danno; e quando la questua è finita, eccoti il secondo che a voce piena canta; Villa Borghese………………. e dopo il motivo romano, comincia la seconda questua non per i figli affamati, ma per la moglie che giace all’Ospedale……… Poi salta su la ragazzata scamiciata e sbrandellata, con in mano un po’ d’immaginette di S. Antonio o S. Lucia e con filo di voce repressa a forza sussurra: Signori, fate la carità……………….. Se per caso una donna o un uomo le risponde: figliola, perché non andate a lavorare presso qualche buona famiglia, anziché fare il triste mestiere della mendicante? Allora la ragazzata dagli occhi volpini se la svigna e si accosta ad altri più semplicioni che non vanno a pensare a certe cose, ma danno la elemosina senza considerare se quella elemosina sia un collaborare alla mala vita della ragazzetta mandata dai suoi loschi genitori.
Ed ecco ancora un quarto, questa volta minorato in qualche arto, un relitto di bombardamenti, egli dice; poi una donna con un bambino agonizzante; poi una donna erculea con in capo un velo a foggia di monaca selvaggia che impietosisce i viaggiatori per delle inesistenti orfanelle di San Donato; poi è la volta della giovane credulona abbandonata dal soldato truffaldino che le aveva promesso legittime nozze pur avendo al suo paese moglie e tre figli e poi a chiusura della sfilata eccoti il disoccupato per vocazione che nel mentre ti narra la lunga storia della sua disoccupazione senza rimedio, si trasforma abilmente in borsaiolo emerito. E cosi sceso dal treno o dal pullman il povero cittadino s’imbatte in mendicanti delle chiese, in mendicanti dei bar, dei ponti, dei sottopassaggi, dei crocicchi, in mendicanti delle sagre, delle fiere, del carnevale e della notte di S. Silvestro, in mendicanti dei cinema e dei teatri. Una vera asfissia, un vero disonore, un vero grave, gravissimo problema, al quale prestano attenzione venticinque cittadini italiani. Ed il mio fegato brucia dalla, bile.
Seguiamo uno per uno i sullodati mendicanti con chitarra o con immaginette; con moncherini o con bambini in braccio, fanciulle credulone o disoccupati per vocazione e poi vedrete il gran male che noi tutti facciamo quando ci disinteressiamo di risolvere questo problema dell’accattonaggio che ha fuso in un sol fascio di turpi mestieranti coloro che di carità hanno bisogno perché inabili al lavoro e vecchi ed ammalati assieme a coloro che dopo una giornata di canzonette al vento e di questue truffaldine chiudono la laboriosa avventura non con i figli affamati, o con la moglie degente all’Ospedale, o con i vecchi genitori imploranti un tozzo di pane dai figli accattoni, ma nelle bettole, o al cinema o al giuoco d’azzardo o peggio ancora in case infami. È semplicemente delittuoso disinteressarsi di questo problema, perché tale disinteressamento denota mancanza di carità verso i fratelli veramente bisognosi e collaborazione a tener sii una vita di turpitudini. Lascio fare, don Grittani, mi disse un giorno un signore al quale facevo notare lo sconcio dell’accattonaggio. Son tutti sistemi per vivere; ognuno cerca di sbrigarsela come meglio può. Io non m’interesso per niente; quando da uno qualsiasi mi si cerca l’elemosina, non sto a guardare a che cosa possa servire la mia elemosina, anche se con quei danari che dò, il povero vero o falso possa comperarsi una rivoltella e suicidarsi. Sarà meglio per la società avere un peso di meno.
Oh! mio caro don Grittani, voi vivete d’utopie. Non sarete voi a poter risolvere questo problema dell’accattonaggio. Figuratevi che non c’è riuscito nemmeno il Mazzarino con tutti i suor sbirri, non ci sarebbe riuscito nemmeno Napoleone, né Carlo Magno, né lo stesso Giulio Cesare. Il mondo ha sempre gioito per la turba degli schiavi legittimi, quelli dell’era prima di Cristo e per la turba degli schiavi illegittimi, cioè gli accattoni che si rendono schiavi per avere un tozzo di pane. Orbene non vi sembra che il mondo sia più variopinto quando si vede il lusso, lo scintillio, la tracotante maestà di una nobile signora dell’alta aristocrazia, in contrasto con una povera stracciona? La povera stracciona è come il chiaroscuro che dà maggior rilievo alla nobilissima donna Petronilla. Pensi come passerebbe inosservato per la via il nobile don Lodovico, dal vestito tanto perfetto da sembrare un figurino, se accanto a lui non si vedesse un povero straccione. La varietà diletta, caro don Grittani e non sarete proprio voi a togliere questo gusto alla società…
Oh! miei cari decennalisti, io non so chi mi trattenne a quel punto dal compiere il gesto di Sansone, prendere cioè una mascella d’ asino e mascellare quel Ciaccone che mi aveva parlato; per fortuna nessun asino passava in quel momento e quel castigo non potetti infliggere al Ciaccone filisteo. Ecco dunque il secondo gravissimo errore che si compie da quei decennalisti che, convinti del ragionamento di Ciaccone, sentono il fastidio della organizzazione del piano decennale che vuol dire organizzazione della carità per cancellare la vergogna dell’accattonaggio e riposano tranquilli sui quattro soldi che danno al primo straccione che incontrano senza preoccuparsi di farlo finire l’accattonaggio. Così pare che vadano pensando le tre Ciaccone che un giorno s’iscrissero al piano decennale e che in questi ultimi quindici giorni, seccate della organizzazione ferrea del piano decennale hanno respinto il giornaletto Amare. Son tre donne, l’ultima delle quali ha scritto sull’Amare dei “sette errori” rifiuto, con le due finali, tanto era il livore. In compenso di queste tre Ciaccone che hanno da pensare alle più importanti spese del carnevale, poco curanti di chi non può pensare per il proprio sostentamento, il Signore ha mandato oltre dieci nuovi decennalisti, ma bravi, ma fervidi, nati cioè senza il peccato della poca comprensione di quello che è il vero grande fine della nostra Opera. Miei cari decennalisti, siamo stati noi i primi a gridare a tutta Italia: basta con l’accattonaggio, mentre che ancora oggi da persone autorevoli e da emeriti scrittori si continua ad affermare che l’accattonaggio deve sempre esistere perché il problema è irrisolvibile. Sono dei grandi miserabili costoro, sono dei grandi Ciacconi costoro ai quali piace vedere accanto a loro che scoppiano per le grosse mangiate e per le più grosse tracannate di vini e liquori, piace a loro vedere la gente che muore dalla fame.
Io un giorno ho veduto in Molfetta un povero accattone che per i milioni di pidocchi suscitava il disprezzo di tutti. Tutti dicevano: attenzione, attenzione al pidocchioso, ma non ho sentito nessuno dire: come mai noi dobbiamo tollerare che un nostro concittadino debba vivere in questo barbaro modo? Amici miei, quel pidocchioso è stato preso una notte da me e dalle mie Suore, giacente per terra in una piazza di Moffetta e l’Opera l’ha pulito, l’ha assistito fino ad una morte cristiana e pulita. Quale gusto bestiale è quello di voler vedere il contrasto tra ricco e povero, tra chi gavazza e chi stramazza di fame? Quel tempo in cui i nobilacci dei castelli godevano lanciare a corsa i propri cavalli anche dove ci fosse assembramento di popolani, poco curanti se qualcuno di quei deprecati villani, dal cui sangue e lavoro essi ricavavano impinguamento di rendite, poco curanti se qualcuno si fracassasse le costole, quel tempo dico è finito forse per sempre e quei tormentati villani, esasperati fino al non plus ultra non pensano due volte a sbarrare la via asfaltata al passaggio delle lussuose “fuori serie” per perpetrare l’assassinio vendicatore delle ingiustizie sociali. E che? abbiamo bisogno di altri ammonimenti della storia per recedere da certe truculente consuetudini di oppressioni o di disinteressamento del problema sociale degli accattoni? Siamo dunque fieri, o decennalisti di averlo noi impostato questo problema in questo tempo e di aver saputo incominciare a risolverlo. Non preoccupiamoci dei Ciacconi e delle Ciaccone. Andiamo avanti per la nostra via, perché è la via giusta additataci dal Vangelo. Le enormi difficoltà finanziarie le sapremo risolvere. Che c’importa che la risoluzione di questo problema importi la bellezza di venti miliardi di lire per salvare tutti gli accattoni d’Italia? I danari verranno a noi anche per vie impensate. Ciò che interessa è l’essere uniti e laboriosi e tenaci ed ostinati per la nostra santa causa. Al resto penserà il Signore, che dalle pietre fa nascere i figli di Abramo. (Amare 356, 11.02.1951)