Il 16 aprile è la festività di San BENEDETTO GIUSEPPE LABRE, il 30 ricorre l’anniversario della morte del Fondatore, il servo di Dio don Ambrogio Grittani.
Nello stile del cristiano si deve parlare di due date gloriose, di due nascite alla vita eterna.
Due uomini che per nazionalità, per epoca, per cultura, per condizione di vita, per molti altri elementi, sono distanti, diversi, addirittura opposti, a noi appaiono uniti in una unica luce.
S. Benedetto Labre francese del nord, don Ambrogio Grittani italiano del sud; quello, del 700 pieno di fronzoli e di miserie, questi, figlio del 900 tormentato e ardito, il primo dotato di un sapere limitato e circoscritto alla Bibbia e ai Padri, il secondo provvisto di una varia e profonda cultura teologica e umanistica; S. Benedetto accattone errabondo, Don Ambrogio sacerdote e maestro di centinaia e centinaia di giovani aspiranti al sacerdozio.
L’elenco delle differenze potrebbe continuare, eppure il solo fatto che don Grittani abbia scelto S. Benedetto titolare e protettore dell’Opera dice che le affinità tra i due sono intime, profonde e sostanziali.
Possono compendiarsi in queste, la fede integrale che investe e trasforma tutta la vita, la carità che paga di persona, la riscoperta della essenziale dignità umana anche in assenza degli orpelli in cui la concretizza l’uomo comune, la testimonianza dei fatti, l’amore alla povertà per sé, la devozione all'Eucaristia e alla Madonna e l’ingenua poesia delle cose.
Sviluppare questi punti significherebbe narrare e studiare la vita intera dei due. Basteranno dei cenni.
S. Benedetto e don Ambrogio furono uomini di fede. Non ebbero la fede ingenua del fanciullo o della vecchietta, ma neppure una intellettualistica e astratta: credettero alle verità rivelate, nutrirono la loro fede con lo studio, la meditazione e la preghiera, soprattutto fecero del Vangelo la regola della loro vita: credettero in Dio Padre e si donarono a Lui, credettero nello Spirito Santo e ne seguirono generosamente la guida. Perciò essi vissero una “vita di fede”.
Credettero nell'Amore e amarono Dio e di conseguenza il prossimo, riducendosi povero per amore dei poveri, donando i beni, l’attività, l’esempio, la preghiera, l’aiuto, la vita.
Senza compromessi nella fede, senza limiti o distinzioni nella carità.
Testimonianza dei fatti - gioia della povertà - rinunzia totale.
S. Benedetto voleva essere monaco di clausura ma ubbidì alla Voce che lo volle apostolo della strada; don Ambrogio voleva essere parroco, ma seguì la guida divina che lo volle maestro esemplare sulla cattedra e poi padre dei poveri.
Tutti e due ritrovavano il divino Pastore nell'Eucaristia e si nutrivano di essa; tutti e due trovavano fanciulli ai piedi della Madre celeste.
Infine tutti e due furono anime ingenue che sentirono profondamente la poesia delle cose. S. Benedetto resta incantato davanti ad un’alba o ad un tramonto che lo trova nella solitudine di un monte o estasiato davanti ai prati fioriti, don Ambrogio sogna “aiuole d’angeli” o spalanca le braccia davanti al lieve inseguirsi delle piccole onde sul lido, quasi creature vive e guizzanti tra gli anfratti degli scogli. Tutto è bello per chi ha gli occhi limpidi, tutto è santo per chi in ogni cosa vede la immagine di Dio.
E noi piccole creature tormentate e insignificanti nel vertiginoso e sconcertante susseguirsi di una vita tutta tesa ai provvisori valori umani sentiamo il bisogno, in questo strano e pur atteso mese di aprile, di alzare gli occhi anelanti alla luce verso queste figure che sorridono insieme dall'alto e ci invitano a lottare, a sperare, ad amare.